La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è una condizione cronica caratterizzata da dolori addominali, alterate abitudini intestinali (stitichezza o diarrea) , e gonfiore con distensione addominale. Il grado dei sintomi varia, a seconda dei pazienti, da tollerabile a grave, interferendo con le normali attività quotidiane. Stime sulla prevalenza di IBS parlano del 5-10 % della popolazione mondiale (soprattutto donne di età inferiore ai 50 anni). I pazienti affetti da IBS si rivolgono più spesso dal medico, sono sottoposti a numerosi esami diagnostici anche invasivi , subiscono ripetuti ricoveri, perdono giornate lavorative con influenze negative sulla produttività, consumano più farmaci con costi diretti complessivi più alti per il servizio sanitario nazionale. La terapia convenzionale dell’ IBS si è concentrata sulla riduzione e controllo dei sintomi (dolore, diarrea e costipazione), anche se il beneficio a lungo termine degli attuali agenti farmacologici in commercio è scarso, pertanto terapie alternative come la terapia cognitivo- comportamentale e l’ ipnosi sono stati utilizzati con buoni risultati. L’importanza dei fattori dietetici nell’ IBS è controversa e gli studi dettagliati dei rapporti tra dieta e sintomi nell’ IBS sono sorprendentemente pochi.
Dieta nei pazienti con IBS:
La maggior parte dei pazienti affetti da IBS sono convinti che la dieta giochi un ruolo determinante nella patogenesi dei loro sintomi. Più del 60% di pazienti con IBS riferisce un peggioramento dei sintomi dopo l’ingestione di alcuni alimenti: il 28% entro 15 minuti dall’ingestione di cibo e il restante 72% entro 3 ore. Gli alimenti maggiormente incriminati sono: il latte e i suoi derivati (limitandone fortemente il consumo), il grano, la caffeina, alcuni tipi di carne, il cavolo, la cipolla, i piselli, i fagioli, le spezie piccanti e i cibi fritti. Si registra inoltre un minor consumo di spaghetti, pasta, riso, miglio, cuscus e focacce, prodotti realizzati con grano duro, che tendono ad essere ad alto contenuto di Oligo-, Di- e Mono-saccaridi (carboidrati a catena corta) e Polioli fermentabili (FODMAPs) e un più basso consumo di alcuni ortaggi (verdure crude, broccoli, peperoni, cipolla, porri, aglio, cavolo, pomodori,funghi e fagiolini). In conclusione, l’assunzione di carboidrati, proteine e grassi da parte dei pazienti affetti da IBS non differisce dallo popolazione generale mentre i pazienti con IBS tendono ad evitare alcuni prodotti alimentari che sono soprattutto ricchi di FODMAPs.
Il ruolo della dieta nella patogenesi di IBS (allergie o intolleranze alimentari).
Le allergie alimentari incidono nel 6-8% dei bambini e nel 1-4% degli adulti, e con il termine di allergia alimentare si vuole indicare una chiara reazione allergica ad un alimento specifico. Tipicamente, un alimento può scatenare una reazione allergica che si manifesta con gonfiore, prurito, orticaria, dispnea, nausea, vomito, diarrea, dolore addominale e / o collasso in meno di 2 ore dall’ ingestione. Questa reazione è mediata dalle immunoglobuline E (IgE) e non c’è nessuna evidenza consistente di un ruolo di questo tipo di reazione allergica nell’ IBS, sebbene, in un sottogruppo di pazienti i sintomi di IBS possono essere correlati ad un’ allergia alimentare a “lenta insorgenza” con coinvolgimento delle IgE, dei linfociti T, degli eosinofili e dei mastociti (possibilità supportata dal riscontro di un aumento anomalo di eosinofili e mastociti nella mucosa intestinale di questi pazienti). Una nuova teoria propone che una classe di anticorpi diversa (IgG) di quelli implicati nelle allergie alimentari sia coinvolta in queste dinamiche; tuttavia i test diagnostici utilizzati per sostenere questo concetto non sono sensibili o abbastanza specifici per un corretto uso clinico.
Il rapporto tra IBS e malattia celiaca (CD) ha recentemente attirato molta attenzione; è difficile infatti distinguere clinicamente tra IBS e malattia celiaca ad esordio tardivo a causa dell’ ampio spettro dei sintomi che possono presentare una potenziale sovrapposizione. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che i sintomi addominali di entrambi i pazienti con IBS e CD sono attivati da l’ingestione di prodotti di grano: nei pazienti celiaci , questo è dovuto all’ allergia al glutine, mentre nell’ IBS, l’effetto è attribuito ai fruttani (carboidrati formati dalla ripetizione di unità di fruttosio) contenuto nel grano. Sebbene la prevalenza di malattia celiaca in pazienti con IBS varia nei diversi studi tra 0,04 al 4,7% tutti i pazienti con IBS dovrebbero essere regolarmente sottoposti a screening per la malattia celiaca.
Circa il 20-70% di pazienti con IBS si lamentano di intolleranze alimentari soggettive. Le intolleranze alimentari sono reazioni avverse al cibo non immunomediate, reazioni farmacologiche alle sostanze chimiche bioattive degli alimenti, come le istamine, i solfiti, il glutammato monosodico, la serotonina e tiramina. Si associano ad un ampio spettro di sintomi che di solito si manifestano fuori del tratto gastrointestinale in forma di cefalea, asma e orticaria. Non ci sono prove documentate che l’intolleranza alimentare sia coinvolta nel meccanismo patogenetico nell’ IBS. I carboidrati a catena corta (FODMAPs) sono scarsamente assorbiti e una parte significativa di questi carboidrati ingeriti arriva nella porzione distale del piccolo intestino e nel colon aumentando la pressione osmotica e fornendo un substrato per i batteri fermentativi. Questo a sua volta si traduce in una produzione di gas che determina una distensione dell’ intestino crasso (colon) con associati disturbi addominali e dolore. Questi carboidrati comprendono il fruttosio, lattosio, polialcoli (sorbitolo, maltitolo, mannitolo, xilitolo), fruttani e galattani. Fruttosio e lattosio sono presenti nelle mele, pere, anguria, miele, succhi di frutta, frutta secca e latte e derivati. I polioli sono utilizzati nei prodotti alimentari a basso contenuto calorico. Galattani e fruttani, invece, sono presenti nel frumento, segale, aglio, cipolle, legumi, cavoli, carciofi, porri, asparagi, lenticchie, inulina, soia, cavoletti di Bruxelles e broccoli.
La carenza di fibre è stata considerata la causa principale della sindrome dell’intestino irritabile; pertanto anche se l’aumento delle fibre alimentari continua ad essere una raccomandazione standard per i pazienti con IBS, la pratica clinica ha dimostrato che tale aumento (soprattutto fibre insolubili) è comunque associato in questi pazienti a dolore addominale con gonfiore e distensione. Al contrario, un aumentato apporto di fibre solubili ha dimostrato di più essere efficace nel migliorare i sintomi generali IBS.
È interessante notare che il ruolo di FODMAPs e delle fibre sui sintomi di IBS è associato alle caratteristiche della flora intestinale. La presenza di batteri che scompongono i FODMAPs e le fibre con produzione di gas come il Clostridium spp. dà luogo alla distensione del colon con disturbi addominali e dolore.
La sostituzione della flora intestinale con batteri “buoni” come il Lactobacillus spp. e il Bifidobacterium spp. si traduce in una maggiore tolleranza sia ai FODMAPs e sia alle fibre. I pazienti con IBS hanno meno Lactobacillus spp. e Bifidobacterium spp. nelle loro flora intestinale rispetto gli individui “sani”. Diversi studi hanno mostrato un miglioramento della flatulenza e della distensione addominale con una riduzione dei sintomi IBS, dopo l’assunzione di probiotici.
Conclusione:
E’ importante informare i pazienti con IBS degli alimenti contenenti FODMAPs e del loro ruolo nella patogenesi dei sintomi al fine di istruirli per eliminare dalla dieta gli alimenti ricchi di FODMAPs. La limitazione dei prodotti alimentari ricchi di FODMAPs deve essere personificata perché i vari pazienti hanno una tolleranza diversa verso gli alimenti ricchi di FODMAPs probabilmente dovuto a una differenza nella flora batterica intestinale. Inoltre, i pazienti con IBS dovrebbero essere incoraggiati a consumare prodotti alimentari integrati con Lactobacillus spp. e Bifidobacterium spp. Quindi dopo una iniziale esclusione totale degli alimenti contenenti FODMAPs per almeno 8 settimane, con l’aiuto di un diario alimentare, si può testare la tollerabilità individuale del singolo individuo al fine di costruire un profilo personalizzato autogestito dal paziente.
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